Nel profondo di noi stessi
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NEL PROFONDO DI NOI STESSI
Cosa significa essere Uomo
già lo avevano capito
i primitivi.
I cacciatori dell’età della pietra
non erano egoisti
e rozzi come noi …
Si
prendevano cura degli altri, e con che altruismo, la Natura li costringeva a farlo!
Il gruppo era la loro forza.
Se a colazione si litigava e un solo uomo
non prendeva parte alla battuta di caccia perché si era offeso, se invece di
andare in 10 fossero andati in 9, poteva far la differenza! O tornare col
bisonte o tornare in 6, perché gli altri 3 il bisonte se li era incornati.
Poi abbiamo fatto tante scoperte, ci siamo
evoluti e ci siamo emancipati dalla Natura, decidendo noi per lei. Per
sopravvivere abbiamo sostituito l’aiuto dei nostri simili con l’energia
elettrica e il petrolio. Ora chiudiamo la porta e accendiamo la stufetta.
Devastiamo il mondo e chi se ne frega se litighiamo con qualcuno, anzi, ci
sentiamo più forti.
Ma non è questa la nostra natura.
Se nella civiltà del “benessere” i suicidi
stanno aumentando a dismisura, nonostante l’istinto di sopravvivenza sia il più
forte che abbiamo, un motivo ci dev’essere.
Di
notte i nostri antenati, esausti per la caccia o per la zappa, si sdraiavano
all’aria aperta. Ammiravano l’immensità del firmamento e pensavano.
Oggi,
se per grazia tira vento che spazza via
lo smog,
c’è solo la Luna con tre stelle.
Tutte le altre stelle
le abbiamo spente
per accendere i lampioni.
Ma noi non ce ne siamo accorti
perché non guardiamo più su in alto.
Abbassiamo il capo e fissiamo il nostro
cellulare.
Maciniamo mille dati e notizie,
e crediamo di aver un’opinione
quando ci mettiamo in fila
dietro a certi personaggi.
Il tempo per scavare bene
in fondo agli argomenti
neppure lo cerchiamo.
Che noia, che fatica scavare.
Siamo
politikòn zoon, cioè animali sociali,
diceva uno di quei primitivi, Aristotele.
È un po’ come dire che possiamo essere felici solo
quando sono felici anche le persone che ci circondano. A dir la verità non
sempre è possibile render felici gli altri nonostante i buoni propositi, ma già
avere questo approccio mentale ci renderebbe superiori.
Oggi
viviamo in un tempo in cui gli equilibri stanno scricchiolando, come avviene
nelle epoche di transizione. Siamo smarriti, non sappiamo di chi o di cosa
fidarci.
Il progresso ha raggiunto traguardi
fantastici e ci ha fatto immaginare la soluzione a tutti i problemi, ma non è
andata proprio così.
È un tempo delicato, in cui i nostri peggiori difetti
acquistano più forza.
Ma non dobbiamo disperare. Nella prova tanti
avranno modo di rafforzare le proprie virtù e faranno splendere la nuova era.
Dobbiamo lottare per custodire le buone
conquiste , ma allo stesso tempo fermare il vortice di frenesia e
disumanizzazione che ci sta annientando.
Il
tarlo della frenesia ci ha spinti a vivere e a lavorare sempre più in fretta, e
ci ha imposto obiettivi sempre più elevati. Ma la nostra natura non è così,
abbiamo dei limiti e quando li superiamo perdiamo il gusto di vivere.
Per
tornare ad essere Umani è anche necessario ricostituire il legame con nostra Madre, la Natura. Capire che siamo parte di lei, non dominatori
spregiudicati.
Chiusi nelle nostre “scatole”: camere,
uffici, automobili, abbiamo perso il contatto con le stagioni e coi ritmi della
vita, con gli alberi e con gli animali. La nostra esistenza è una continua
corsa da una scatola all’altra.
Riguardo invece al Padre nostro, come spesso
fanno i mariti, a volte si nasconde e lascia far tutto alla mamma.
Ma noi questo papà andiamolo a scovare.
Strilliamo per attirar la sua attenzione, ciascuno a modo suo. Se siamo
credenti diremo che preghiamo, se siamo scienziati diremo che cerchiamo. Poco
importa se lo chiamiamo Dio o forza che ci circonda e ci sostiene. Il
necessario è che non smettiamo mai di strillare.
In
una società fortemente antropocentrica e materialistica come la nostra, Dio è
considerato una credenza che sa di muffa o che si addice a qualche vecchietta
credulona.
Si pensa che Dio non esista perché non lo si
vede.
In effetti come dar torto agli abitanti
delle scatole, hanno ragione. Chiusi nei loro ambienti a malapena intravedono
il tramonto dal vetro della finestra, figuriamoci vedere Dio.
Riguardo alle vecchiette credulone, prima di
giudicarle aspettiamo di raggiungere anche noi ottant’anni. Solo allora potremo
misurare di quanto avremo migliorato noi stessi e il mondo che ci hanno
lasciato.
Può essere anche che dentro alle nostre
scatole Dio non ci sia veramente. In certi ambienti ricolmi di arroganza e
prepotenza lo abbiamo cacciato fuori.
Facciamo il primo passo,
usciamo dalle scatole,
da quelle materiali
e dalle nostre prigioni mentali.
Se prima non veniamo fuori,
per farci nutrire da nostra Madre
Natura,
come possiamo diventare abbastanza forti,
per scavare fino in fondo a noi stessi
e per capir chi siamo?
Solo allora
avremo così tanto coraggio
per scavare ancora oltre.
Là,
nel più profondo di noi stessi,
dove e quando
il nostro io finisce
per unirsi all’Infinito,
conosceremo
il Padre nostro.
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